Parlando di recente con un insegnante di un seminario che ho organizzato e a cui ho partecipato imparando molto, l’ho sentito chiedersi con enorme modestia: “ma noi abbiamo qualcosa da insegnare a questi allievi?”
È davvero una domanda importante, che sottintende la grande umiltà di chi non si sente un grande maestro, ma semplicemente una persona che ha praticato molto, che ha studiato molto, che ha da condividere con altri i progressi che ha fatto, ma che allo stesso tempo riconosce che i suoi insegnanti di riferimento avevano una didattica ancora superiore, il cui livello è difficile da eguagliare ma resta qualcosa a cui anelare. Ci sono ancora molte persone che non hanno compreso il lascito tecnico e didattico del maestro Fujimoto, persone che confondono il dettaglio tecnico con l’impostazione formativa di un certo percorso. Negli ultimi anni ho girato molto, sono salito su tatami diversi, e mi faccio vanto che ovunque sia andato sono riuscito a lavorare e ad adattarmi a sistemi differenti, non tanto risultando bravo quanto piacevole nella pratica. Quando dopo aver lavorato con una persona che non si conosce ci si sente dire “grazie, praticare con te è stato piacevole e sono riuscito a studiare molto” mi rende davvero felice. E sono convinto che non sia una mia qualità personale, quanto una maniera con cui sono stato educato, un metodo a cui ho avuto la fortuna di essere stato esposto nella mia formazione. Divento sempre più certo che la didattica del maestro, che insieme ai miei compagni di viaggio porto avanti, sia improntata ad insegnare agli allievi un metodo per imparare a muovere il corpo correttamente, ad un ascolto reciproco nel ruolo di Tori ed Uke. Non ci interessa insegnare come deve essere fatta una tecnica, ci interessa trasmettere quegli strumenti perché uno studente possa autonomamente confrontarsi con un movimento od una tecnica e risolvere da solo quel puzzle. Si avvicina la data del 22-23 giugno, dove in quattro insegnanti, insieme, a Bologna faremo convergere i nostri allievi per farli praticare e soprattutto per tenere una sessione di esami kyū e dan condivisa, perché lo facciamo? Perché vogliamo vedere non tanto se facciamo Ushirowaza ryōtetori iriminage seconda forma uguale quanto piuttosto se stiamo riuscendo a fornire ai nostri allievi, che si sono incontrati più volte nel corso dell’anno, gli strumenti adatti per continuare a crescere e magari superarci. Per confrontarci come insegnanti e con umiltà chiedere ad un altro che impostazione ha usato per un movimento che ai suoi allievi riesce bene e ai nostri meno.
Non so se abbiamo molto da insegnare a questi allievi, però possiamo mostrare loro con quale metodo si può imparare, e lasciarli fare e divertire senza essere ingombranti.
Ci vediamo sul tatami