Martedì la mia pratica è cominciata di nuovo con l’ora del maestro Yasuno, anche questa volta ha costruito la sua didattica partendo dal jiyuwaza di katatetori. Successivamente siamo passati a chūdantsuki e poi a yokomenuchi sempre cambiando frequentemente partner, il che mi ha dato la possibilità di incontrare e lavorare di nuovo con Guille, uno straordinario praticante argentino che vive in Giappone da anni. Comunque il mio giro uke è stato molto fortunato, ho lavorato tra gli altri su yokomenuchi con una ragazza che il maestro ha anche chiamato da uke, l’ho trovata molto brava. Dopo il Keiko ho girato in lungo e largo Shinjuku, arrivando letteralmente ad odiare Shinjuku Station che ho praticamente circumnavigato e attraversato una decina di volte. Poi le due ultime ore di lezioni serali con il maestro Osawa, le ultime purtroppo. La prima ora ho lavorato con Ivan, un ragazzo neozelandese (ma di origini serbe) che vive a Kobe e con cui sto calpestando il tatami insieme dal seminario di Saku, sebbene sia alto più di due metri e bello quadrato pratica con serietà senza trasformare la pratica in un contesto di forza, e si che ne avrebbe se volesse usarla. La seconda ora ho lavorato con Kinoshitasensei che ci aveva accompagnato al torneo di sumo, una signora sopra i sessant’anni che oltre ad una tecnica invidiabile ha sostenuto un ritmo per un’ora incredibile, mi è costata una fatica notevole starle appresso. Dopo cena è stato il turno della preparazione valigie, perché mercoledì è il giorno del rientro ed il mio piano è forse un po’ temerario. Quindi checkout all’alba per andare all’honbudojo con tutti i bagagli, e qui la prima conferma dei miei timori. Andare via oggi rientrava nel mio programma, per evitare a tutti i costi l’afflusso massiccio di praticanti che si riversa a ridosso dell’all japan. E vedere la fila davanti all’honbu alle 6 di mattina significa che è il momento di andare. Così con un tatami straripante di persone, e con Waka sensei che a sorpresa sostituisce il Doshu, vengo finalmente catturato da Tanisensei, che se si è stranieri e non si è lavorato almeno una volta con Tanisensei vuol dire che non si è stati davvero all’hombu. È uno dei praticanti anziani del dojo, e nonostante questo ha un ritmo invidiabile, e mi ricordo ancora le correzioni che mi fece la prima volta che sono stato in Giappone. Me le devo essere ricordate così bene che alla fine della pratica mentre lo ringrazio mi dice che potrei essere suo figlio per quanto la nostra tecnica si somiglia, il che ci sta visto che gliele ho copiate tutte dalla prima all’ultima. Poi tocca all’ora di Kuribayashisensei, parteciparvi vuol dire avere un margine strettissimo per giungere all’aeroporto in tempo, ma già la settimana scorsa era stato sostituito da Iriesensei, insomma non ci posso rinunciare, mi basterà volare via a fine lezione. Comincio praticando con Craig e il maestro Kuribayashisensei ci fa prima visita sul tenkan ho, e già a prendergli il polso capisci che devi stare all’erta, poi dopo un cambio uke me lo ritrovo su katatetori iriminage e lo so già che mi pianterà nel tatami, nonostante questo mi prende di sorpresa e vado giù così piatto che sono felice sia l’ultima ora, dopo un altro cambio uke mi trovo a lavorare con una signora giapponese tra i 50 e i 60 che avevo già notato da Yasuno, di una eleganza e ampiezza dei movimenti molto belli, averci lavorato insieme per caso è un colpo di fortuna. E dopo il saluto finale sfreccio via senza neanche avere il tempo di piegare l’hakama, lo farò in aeroporto! L’aereo parte alle 13 e un quarto, e dopo cambi metro fulminei sono lì per le 11, lascio il bagaglio, un ultimo giro acquisti spendendo gli ultimi yen, l’ultimo dolcetto al tè verde ed è ora di lasciare il Giappone. Da giovedì mattina saremo già pienamente operativi in Italia.