Come rematori affiatati

Quando si guarda ad un anno didattico che sta per cominciare la prima domanda che ci si pone è “quale indirizzo dare alle lezioni? Su cosa si vuole lavorare in particolare?”. Non sono domande semplici ed è necessario avere prima di tutto chiaro quale sia stato il risultato dell’anno precedente. Aver osservato i propri allievi agli esami di fine corso, i punti critici su cui si sono arenati, la loro partecipazione alle lezioni e ai seminari che si sono proposti è importantissimo. Ogni responsabile di dojo lo fa per i propri allievi, ma allo stesso tempo è necessario anche che l’insieme degli insegnanti che perseguono una didattica condivisa cerchino di fissare un obiettivo comune, confrontandosi tra loro, ma anche con gli allievi altrui che come uno specchio appena pulito restituiscono un’immagine più fresca. Ritrovarsi insieme tra dojo diversi ad inizio anno diventa così un’ottima occasione per porre le fondamenta e tracciare un percorso di un nuovo anno didattico, più immersiva sarà l’esperienza e maggiore sarà il profitto, nasce così l’idea di uno stage residenziale. Chi ha avuto la fortuna di frequentare lo stage di Laces condotto dal maestro Fujimoto può già aver vissuto parzialmente questa esperienza, laces è un paese abbastanza piccolo e chi frequenta il seminario si ritrova spesso fuori dal tatami anche a pranzo e cena condividendo molto tempo assieme. In quell’occasione però era il maestro che tirava le fila dell’anno passato dal punto di vista didattico e piantava i semi per quello a venire, ed allo stesso tempo ci osservava, me ne rendo conto ora, con davvero un’enorme pazienza. A Macerata ci ritroveremo quest’anno con il proposito di costruire tra dojo diversi un legame simile a quello che siamo stati così fortunati da aver potuto costruire tra noi insegnanti quando il maestro ancora ci accompagnava. Da venerdì 7 settembre fino a domenica 9, insegnanti e allievi saranno ospiti della stessa struttura, praticando sul tatami, studiando jo e bokken all’aperto, vivendo insieme i momenti conviviali, in modo da conoscerci e abbattere in modo sincero le barriere tra alto e basso. Non c’è praticante di Aikido che possa giovarsi nella pratica nell’isolamento, e più di qualunque lascito tecnico il maestro Fujimoto ha inculcato in noi l’idea che progredire nell’Aikido vuol dire trovare persone con cui praticare in modo paritario, nel senso del rispetto reciproco delle proprie capacità e livello. Se qualcuno è più bravo di noi dobbiamo dare il nostro massimo e approfittare per apprendere di più, se qualcuno lo è di meno dobbiamo adeguarci alle sue capacità ma restare allo stesso tempo stimolanti. Trasmettere questa idea di pratica nel concreto non è semplice, bisogna davvero trovare persone che con affiatamento si pongano lo stesso obiettivo, magari proprio perché sono state educate nello stesso momento, ed è per questo che credo che lavorare con Fabrizio, Koji e Laura sia così importante per me e i miei allievi. Che abbiate avuto l’opportunità di seguire il maestro Fujimoto o meno, se credete che praticare Aikido voglia dire confrontarsi sinceramente, e in modo affiatato senza timore costruire una pratica che non è dimostrativa ma costruttiva allora spero di ritrovarvi a Macerata per questo stage residenziale. Non siamo dei grandi maestri ma seguiamo con tenacia un grande insegnamento.

Vincere o perdere contro una spada vera

Shinkenshōbu
真剣勝負

La traduzione letterale di questa espressione sarebbe: vero-spada-vincere-perdere, ovvero vincere o perdere con una spada vera. Per spada vera ci si riferisce ad una lama realmente affilata, non uno iaito (spada dal filo smussato che si usava e si usa nell’allenamento di kenjutsu), in grado quindi di assestare un colpo mortale. Da questo si arriva per traslato a “combattere in condizioni di vita o di morte”. In italiano si usa spesso l’espressione “questione di vita o di morte” per indicare una situazione di rischio così reale e grave il cui esito finale può solo essere la vita o la morte di chi vi ci si trova. In questa situazione diciamo spesso bisogna essere mortalmente seri, ma nel nostro caso sarebbe meglio dire “mortalmente” consapevoli. Osensei ha sempre insistito che nel vero Budo, a cui ascriveva l’Aikidō, non ci potessero essere forme di competizione, ancor peggio in forma sportiva, e che il motivo fosse proprio la condizione di shinkenshōbu. Una qualunque forma di competizione sportiva, anche la più cruenta come gli sport da combattimento, deve sottostare ad un regolamento che stabilisca un minimo di condizioni di sicurezza, così da preservare la vita di chi vi partecipa se i competitori rispettano le regole stabilite. Ma questo concetto è profondamente antitetico con quello di shinkenshōbu. Personalmente questa antitesi la trovo evidente ma per buona parte di coloro che si muovono negli sport da combattimento, o che si interessano e ruotano attorno al mondo della cosiddetta difesa personale non lo è altrettanto.
Shinkenshōbu vuol dire che qualunque azione può essere intrapresa restando però profondamente consapevoli che il suo peso va giudicato a seconda che il suo esito finale sia la vita o la morte, e quindi non ha senso sottostare o stabilire regole prefissate per convenzione o peggio per arbitrarietà. Il contesto sportivo non può appartenere a questa categoria di pensiero, e per Osensei non può far parte del mondo del budo, a quelle che in modo poco informato vengono chiamate arti marziali. Chi segue o partecipa agli sport di combattimento ritiene che queste forme di lotta siano le più realistiche possibili, la loro violenza, la fatica che richiedono, il rischio e gli infortuni che ne conseguono possono assumere questa valenza, ma se la prima cosa che viene esclusa, o si cerca di escludere, perché alla fine un incidente mortale può comunque avvenire, è il pericolo mortale allora questa lotta cosa significa? Lottare per sopravvivere quando si esclude in primis la morte è alla fin fine un gioco, violento pericoloso ma pur sempre un gioco. Vi faccio un esempio che secondo me ne è una chiara dimostrazione: i colpi da dietro. Non c’è sport di combattimento che ammetta colpi quando l’avversario vi rivolge la schiena, colpire volutamente la nuca ad esempio vi squalifica immediatamente, questa scelta ha permesso il proliferare delle tecniche di placcaggio, e di conseguenza quelle a terra. Quando si tenta un placcaggio ci si espone al rischio di una gomitata invalidante alla nuca, ma essendo tale colpo vietatissimo il placcaggio può solo essere contrastato con alternative meno efficaci e immediate, il che ne determina il suo uso “indiscriminato”. Non sono ammessi colpi agli occhi, alla trachea e ai genitali, e neanche leve alle dita, tutte zone troppo morbide o flessibili che riceverebbero danni irreversibili o invalidanti, questo ha avuto come conseguenza però la divisione per categorie di peso che è proporzionale alle “corazze” muscolari. Ma in quale lotta davvero realistica ci si divide per peso? La natura è la più chiara dimostrazione che la lotta per la sopravvivenza non opera tale distinzioni, anzi se discrimina lo fa con lo scopo opposto, per esempio tutti i predatori se possono attaccano gli individui più deboli.
Adesso non voglio sostenere che l’Aikidō sia più realistico degli sport da combattimento, anch’esso per un suo verso risponde ad un modo preciso di modellizzazione della realtà, con i suoi attacchi convenzionati, spesso vettoriali, il suo modo di ricevere le tecniche e di continuare ad agire che risponde ad una logica di amplificazione temporale ed estensione della sensibilità per permettere di studiare, però ritengo che il suo aderire al principio dello shinkenshōbu debba avere quel valore che per lo più non viene neanche considerato per ignoranza. Ogni tecnica di Aikidō nel momento che viene messa in atto ha già superato due stadi: l’atemi e il kokyūnage, intendo dire che uke viene considerato così bravo da essere stato in grado di avere evitato il contrattacco immediato, l’atemi di risposta, e il completo sbilanciamento iniziale che porti ad uno squilibrio senza ritorno, il kokyūnage. È solo quando uke è stato in grado di sopravvivere a questi due fattori che tori si trova nella condizione di dover eseguire un waza (tecnica) completo. Il contesto storico è in accordo con questa idea, coperti dall’armatura su un campo di battaglia si avevano buone possibilità di sopravvivere ad un colpo portato a mani nude, e dato quanto fosse grave cadere a terra in mezzo ad una mischia ricercare un equilibrio precario era un opzione migliore del cercare la lotta a terra. Data la valenza del concetto di shinkenshōbu nell’Aikidō bisogna capire che non c’è limite alla natura dei colpi che possono essere portati, e quindi presi in considerazione. Se un Aikidōka viene toccato sul viso non starà lì a sindacare se ci fosse forza sufficiente per provocargli un knock out o meno, egli resta consapevole che avrebbe potuto perdere l’uso degli occhi comunque, e quindi essere incapacitato dalla possibilità di difendersi dal successivo attacco mortale. È per questa considerazione che il suo modo di muoversi e di salvaguardarsi risponde ad una logica protettiva ben diversa da quella a cui lo sport e un certo giocare ci hanno educati. Se il suo avversario è in grado di toccarlo alle spalle non sarà nella tranquillità di chi è protetto da un regolamento ma il contrario, sarà consapevole del pericolo e sceglierà di riposizionarsi anche se ciò lo squilibria ulteriormente. La difesa della linea centrale assumerà una connotazione molto differente ed incomprensibile ai più. Se volete essere in grado di immaginare il modo di pensiero che guida l’azione e la reazione di chi fa Aikidō basta visualizzare un avversario armato di un coltello lungo e affilato, quanto credete debba colpire forte per recidere un’arteria?
Eccoci tornati in modo circolare allo shinkenshōbu, il confronto con una lama vera. Quando si confronta il contesto sportivo con il Budo si cade nell’errore perché non si riesce a cambiare modalità di pensiero, questo porta a confrontare un modo di allenamento con un’impostazione di un sistema che è tutt’altro. Immaginate di essere usain bolt, l’uomo più veloce del mondo, in grado di muovervi in modo organizzato, efficiente e perfettamente armonico, e che vi offrano la visione di un eschimese che si muove nella neve con le ciaspole con la sua andatura da pinguino, sareste in grado di comprendere e valutare il fattore neve? Riuscireste a distinguere la differenza tra il gioco della corsa, eseguita su un tracciato, e il muoversi per sopravvivere?
Nella sfera dell’Aikidō questo modo di pensare appartiene sia a Tori che ad Uke. Tori, evitato l’attacco iniziale e creata la condizione di musubi, dove egli è in grado di percepire chiaramente il centro e l’asse del compagno, deve estendere il suo controllo fino al termine della tecnica cosciente di non dover offrire una seconda apertura alla lama del partner. Uke, una volta portato il suo attacco iniziale, cosciente di essere esposto deve mantenere la sua intenzione aggressiva ed allo stesso tempo evitare il colpo finalizzante della lama di Tori, questo gli richiede un movimento che viene definito in modo poco comprensibile ai profani “connesso”. È un termine strano, che potremmo accompagnare con uno equivalente come cosciente o consapevole. Se non si comprende il sottinteso di questa connessione non si può essere in grado di giudicarlo, è come guardare una persona muoversi in modo strano su un campo accidentato senza sapere per esempio che si trovi sotto il tiro di un cecchino.
La tensione creata dalla condizione di shinkenshōbu ha un riflesso “spirituale”, essa costruisce e richiede un livello di concentrazione estrema che esclude tutto ciò che non è l’azione e il presente del momento. Allora anche il gioco, il semplice allenamento diventa mortalmente serio, e il silenzio conquista la pratica e il praticante lascia cadere il costrutto con cui si presenta alla società per confrontarsi con se stesso e conoscersi.

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 8 e 9

Lunedì mattina la temperatura e l’umidità hanno ricominciato ad alzarsi, arrivato all’hombu ho trovato quelli che avevano fatto il primo turno sconvolti, un nutrito gruppo di stranieri arrivati tutti insieme aveva portato i praticanti a più di 80 presenze rendendo l’aria oltre l’afoso e l’irrespirabile. Comunque sono riuscito finalmente a praticare ad una lezione di Kanazawasensei. Stilisticamente molto simile al Doshu, ma con un’enorme passione per lo spiaccicamento su iriminage. Avevo una donna giapponese sulla sessantina come uke, che tra l’altro teneva un ritmo di pratica da fare impallidire più della metà della gente che conosco sul tatami, e con la scusa di correggerla Kanazawasensei si è divertito molto a spalmarmi a destra e sinistra. Davvero piccolo di statura, ma chiaro nel movimento, l’ho trovato davvero divertente. Poi un po’ di giri a spasso per Tokyo fino al doppio turno serale con Yokota sensei. Ancora delle lezioni molto belle tecnicamente, con certi elementi di kokyunage che si ripetono e vengono riproposti con qualche sfumatura diversa in altre attacchi oltre lo shomenuchi. C’è una variante di uchikaitennage che gira ad iriminage che a velocità reale ho trovato ai limiti del micidiale. Mi è capitato di praticare nelle due ore con due ottimi uke, John, un americano che vive lì, e Toritani sensei, un’allievo di Yokota sensei, per cui fa spesso da uke. Sono state due ore divertenti ma anche impegnative. Peccato per un cambio di direzione su ikkyo in suwariwaza che mi ha malridotto il gomito sinistro, spero si riprenda per martedì, che ho due lezioni che mi interessano molto, Yasuno sensei a cui avevo rinunciato la settimana prima per il caldo terribile dell’ora di Waka sensei, ed un altro doppio turno con Osawasensei che sarà il termine della mia pratica all’hombu a questo giro.
Anche martedì ancora caldo e umido in risalita, da Yasunosensei ho trovato un giapponese di nome Kan che mi aveva chiesto di praticare insieme alla prima maoccasione e così abbiamo fatto un’ora di tecniche che variano da kokyunage ad iriminage in modo spesso sottile. L’aikido del maestro Yasuno è un po’ misterioso per me, non riesco a decifrarlo molto, eppure ne sono affascinato. Fatto da lui sembra semplice, ma quando lo provi tu davvero ti senti incapace a riuscire ad ottenere certi kuzushi, squilibri, in direzioni così inusuali e con awase nel timing così rapidi. Poi un po’ di trasporto bagagli all’hotel dove alloggia la mia famiglia, che mi ha raggiunto per la parte turistica del viaggio, e via di ritorno all’hombu per le ultime ore con Osawasensei. La prima ora ho praticato con Watanabesan, e la seconda con un americano molto bravo di nome Luis, anche lui fisso in Giappone da tempo. La lezione del maestro Osawa ha ripreso molti elementi che aveva illustrato al seminario estivo a Laces. A differenza della settimana scorsa il tatami era affollato fin dalla prima ora, e alla seconda abbiamo dovuto praticare alternati sui nagewaza, comunque nonostante il caldo e l’umido pesantissimi il maestro Osawa, come ho già detto, conduce la lezione con molta attenzione. Il braccio sinistro che era stato risparmiato nelle osaewaza, tecniche di immobilizzazioni, all’ora di Yasuno sensei ha retto giusto giusto. A lezione conclusa è stato molto triste salutare tutti ma il pensiero del viaggio che ancora mi attende mi entusiasma, visiterò Nikko, Kyoto, Nara, Osaka, Miyajima, Himeji, per tornare infine a Tokyo come turista. Non vi perseguiterò con un resoconto noioso di questa parte della mia permanenza in Giappone, ma vi aspetto al mio ritorno a Roma per ritrovarci sul tatami con la ripresa dei corsi dall’11 settembre. Trovate qui gli orari dei corsi!

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 6 e 7

Venerdì avevo deciso di provare a fare di nuovo tre ore complete il sabato, anche perché sembrava che la temperatura stesse scendendo lievemente. Invece una cena riunione con Vittorio, un ragazzo che da quattro anni vive in Giappone per formarsi marzialmente prima nell’Aikido e poi nel Brazilian jujitsu si è trasformata in una lunghissima chiacchierata finita alle 4 di mattina. È stato molto interessante perché Vittorio ha conosciuto molto bene l’ambiente dell’hombu dojo e sebbene se ne sia allontanato sa dirti di tutto su ogni insegnante, dal pettegolezzo alle qualità tecniche. Comunque sabato quando mi sono svegliato presto per la lezione di Ito sensei, con meno di 4 ore di sonno, ho fatto giusto in tempo a registrare il tasso di umidità invariato, un vago mal di testa, e a piazzare la sveglia per la lezione successiva del primo pomeriggio. Quindi nel primo pomeriggio Yokota sensei ha condotto una lezione tecnicamente sempre molto interessante. Alcune varianti che presenta davvero non sapresti dove le peschi se poi non ti mostrasse subito in parallelo il taglio di spada che le ha ispirate. È solo strano che quelli che hanno maggiori difficoltà a registrare queste forme siano i suoi allievi che le seguono abitualmente. Boh! Purtroppo proprio uno dei suoi, dopo una correzione mi ha tirato giù così forte che non sono riuscito a dissipare bene l’energia della caduta, ho preso una bella ginocchiata sul cementatami. Sono tornato parecchio frustrato a casa perché un’altra giornata con una sola ora di pratica mi sembra davvero sprecata, tanto più che Vittorio mi aveva raccomandato Sugawara sensei, l’istruttore dei due ultimi turni. Comunque impacchi di ghiaccio e una discreta, diciamo, irrequietudine hanno fatto si che fossi di nuovo sul tatami per l’ultimo turno. Ne è valsa la pena, sono riuscito a gestire il ginocchio e a godermi una bella lezione. Atmosfera concentrata ma con non molte persone, e soprattutto pratica alternata per avere ancora più spazio sul tatami. Per la prima volta da quando sono in Giappone non ho avuto l’impressione di arrivare al limite dell’autocombustione entro i primi 30 minuti. Le tecniche sebbene classiche usavano angoli un po’ diversi dal solito, che si traducevano anche in timing diversi da quelli soliti, è stata una buona occasione di studio per me e per la giapponese con cui lavoravo, che si è lasciata scappare un “muzukashii” (è difficile!) su un sankyo con un cambio mano volante. Tornato a casa il ginocchio non sembrava essere peggiorato ulteriormente e la mia preoccupazione per quanto sarei stato in forma allo stage di Endo si era sopita. Altro ghiaccio e un buon sonno e sarei stato pronto.
Domenica mattina il risveglio più piacevole della settimana, faceva, anzi fa fresco. Appuntamento con Kojisan per raggiungere Saitama, cittadina vicino Tōkyō dove il maestro Endo, dopo una dimostrazione di quasi due ore fa una lezione speciale. La prima sorpresa è incontrare all’arrivo Ariga sensei, responsabile del dojo di Saku, il dojo fondato da Endo sensei. Ho sentito tutti parlare benissimo di lui e dovevo riuscire a praticarci sul tatami. La dimostrazione è stata piuttosto noiosa, si sono alternati gruppi e maestri continuamente, spiccano giusto due maestri abbastanza giovani , ed un ragazzo che fa da uke ad un maestro un po’ più anziano, ho un occhio buono e alla lezione successiva tutti e tre insieme ad Ariga si alternano come uke di Endosensei. La lezione è una tipica lezione di Endo che pone l’accento come sempre sul non restare chiusi in una gabbia, si arrabbia, bonariamente, per le stesse cose, e propone esattamente lo stesso lavoro che propone in Europa. Mi sono divertito parecchio, ho fatto ben due giri con Arigasensei, e poi beh lo ammetto ho fatto il “pirata”. Sono lì che ti trovo sempre il tipo che non si fa fare la tecnica, o che mentre la fai ti accenna un atemi alle costole e improvvisamente realizzo che sono a Saitama, dico a Saitama, ma quando cavolo ci torno? Chi mi obbliga ad essere per forza gentile, non ho bisogno di amici a Saitama. E allora quando il mio compagno rompe le regole del gioco le rompo anche io, mi tocchi le costole? Ti metto un dito nell’occhio. Non mi fai fare tenchinage, o iriminage perché ti ritiri invece di venire contro e allora non ti faccio fare più niente neanche io me ne sto solo fermo e morbido. Devo dire che invece di prenderla a male qualcuno cambia atteggiamento, qualcun altro rosica e basta, mi stanno bene entrambi i casi. Ad ogni modo è molto di più la gente con cui si riesce a lavorare che quella no e le due ore volano. Bello ritrovare un livello di pratica piuttosto alto, ma riconosco che si parla di un seminario e non di un singolo dojo, questo vuol dire che già che la gente si sia mossa implica che pratichi in un determinato modo. Torneremo su questo discorso quando completerò la mia esperienza all’hombu. Domani che è lunedì finalmente trovo il maestro Kanazawasensei rientrato dall’Inghilterra, e poi un’altra iniezione di Yokotasensei.

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 3

Oggi finalmente una bella giornata di sereno, con un po’ meno umidità. Alle 8.00, che sottolineo essere il secondo turno della mattina, eravamo sul tatami per la lezione di Kuribayashi sensei, che tra l’altro ho scoperto essere uno tra i pochissimi che oltre a spiegare anche a parole, intervalla le sue osservazioni in giapponese con dei mini sunti in inglese. Non serve tanto dire quanto la lezione sia stata piacevole quanto invece scoprire con sorpresa l’enfasi posta sul lavoro di uke, e sul perché sia importante lavorare in modo morbido e sensibile. “Scoprite fino a dove riuscite a tenere, quando la vostra forza si interrompe, dove perdete il contatto, cercate di seguire, cercate di tenere in modo da capire quale sia l’ultimo punto di contatto, e come tori date la possibilità ad uke di fare questo lavoro” è il concetto che è stato rimarcato più volte. Parole familiari a chi ha seguito per anni lya didattica del maestro Fujimoto ma che ultimamente ho sentito dire poco. Certo che allo stesso tempo bisogna restare vigili, perché il maestro ha un modo repentino di variare la velocità all’interno dell’esecuzione della tecnica che può sorprendere.
Poi molto riposo a casa e pronti per gli ultimi due turni serali, peccato che appena usciti il tasso di umidità si era alzato molto rapidamente. Comunque il maestro Miyamoto l’ho trovato un po’ diverso da come l’avevo conosciuto a Milano, più calmo, vuoi per il caldo?, e anche meno dispersivo. Anche senza parole si capisce la sensibilità con cui si comporta come tori variando la tecnica sulla risposta di uke. Quindi ogni tecnica più che declinarsi in varianti tendeva a divergere in due differenti tecniche a seconda dell’occasione fornita dalla risposta di uke. Interessante che il maestro corregga molto, al primo turno quando eravamo un po’ meno mi ha corretto tre volte, e poi gira molto lavorando coppia coppia, come aveva fatto anche Kuribayashi la mattina. Anche il suo lavoro molto improntato al rapporto tra tori e uke, dove la tecnica non è una forma di dominio, o di imposizione ma un dialogo complesso, vivo nello svolgersi. Temo di aver sbagliato nell’ignorare gli ultimi due seminari fatti in Italia, sarà meglio organizzarsi per rinnovare l’esperienza quest’anno venturo, sperando di trovarlo bello sereno come oggi però. Ultima nota su quanto sia affollato l’ultimo turno della giornata, quello dalle 7 alle 8, eravamo davvero parecchi e tra umidità e persone lavorare è diventato di nuovo pesante. Anche se mi sembra che tre ore al giorno senza essersi ancora ben abituati al clima e all’orario sia un ritmo sostenibile. Domani ho programmato un orario un po’ strano, tre turni di un’ora distaccati tra loro da ampi intervalli: Osawa sensei ( ohyeeeeees) , Fujimaki sensei e Sasaki sensei che non ho mai incontrato. E se riesco finalmente cena al ristorante di soba vicino casa che però chiude sempre mentre noi finiamo il secondo turno serale, questa volta non mi scappi.
A domani

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 2

Cominciamo subito dal dire che ho dovuto rivedere un po’ al ribasso il mio programma, purtroppo il caldo e soprattutto l’umidità terribile sono sfiancanti. Oggi dopo l’ora di Waka sensei ho sfiorato il colpo di calore. Trovare le finestre chiuse all’inizio della lezione, più di 50 persone sul tatami, un compagno di pratica che viaggia a ritmo sostenuto, e Mitsuteru Ueshiba che in 55 minuti, anzi 50 levando la ginnastica, ti fa fare 8 tecniche, illustrandole solo 4 volte, e gli avanzano pure 15 minuti per il jiyuuwaza (la pratica libera riassuntiva con il compagno) e la frittata è fatta. Mi son dovuto saltare la lezione di Yasuno sensei, che invece era un po’ più fresca e con molta meno gente, tant’è che credo che martedì prossimo farò il contrario, saltare il primo turno e seguire Yasuno. Non so perché ma fa molto più caldo dalle 6.30 alle 7.30 che dalle 8 alle 9. Quindi mi sono riprogrammato la pratica su tre ore al giorno, un turno la mattina privilegiando gli insegnanti che vorrei conoscere e due turni la sera, fare 5 ore potrebbe essere possibile in altre condizioni climatiche ed essendosi già ben abituati al tatami. La lezione di Waka sensei non mi ha entusiasmato, la spiegazione sbrigativa dà il via libera ad un fai come ti pare, dove ognuno interpreta a suo piacimento la traccia offerta. Il mio compagno è un buon allievo argentino di Yasuno sensei e mi sono fatto una lezione indiretta alla Yasuno, interessante ma un po’ estraniante, perché quelli intorno facevano tutti in modo diverso, anche tra loro. Quindi dopo aver raggiunto temperature da ebollizione ho scelto il fermo e il riposo, o quasi. Armato di asciugamano di emergenza, come da guida galattica per autostoppisti, ho cercato di impiegare il tempo andando a visitare il museo di spada ma l’ho trovato chiuso per trasferimento fino a gennaio, sfortuna. Il pomeriggio ho saltato Sakurai sensei, perché tenevo molto di più alla lezione del maestro Osawa. È stata una buona scelta perché Osawa sensei è davvero su un altro livello, in tanti aspetti. Per esempio nella gestione della lezione, già l’alternanza di tecniche tra nagewaza, tecniche di proiezioni, e osaewaza, tecniche di blocco a terra crea un ritmo sostenibile con accelerazioni e rallentamenti, con l’aggiunta di quattro pause acqua rapide dato il pomeriggio caldissimo. Ed anche la fortuna di ritrovare sul tatami il maestro Watanabe, lontano dal suo dojo di Bologna (www.aikidowatanabedojo.it) a Tōkyō per lavoro. Nella pausa prima dell’ultimo turno ci ho dovuto mettere una doccia fredda di 5 minuti per abbassare la temperatura corporea, e ne ho approfittato per un cambio keikogi che era diventato inservibile. Il secondo turno di Osawa era molto più affollato, sempre gestito benissimo nella conduzione, una sola pausa acqua ma qualche correzione in più offrivano dei momenti di respiro e allo stesso tempo delle sottolineature tecniche interessanti. Mi piace quanto il maestro riesca ad essere gentilmente intransigente, se ti vede fare un lavoro diverso nella correzione spiega bene le varianti possibili e sottolinea bene, molto bene, quale sia il lavoro che lui sta richiedendo. Poi se si vuole e si può capire il messaggio dipende a quel punto solo dagli allievi. Buone notizie sul fronte ginocchia, che sono in netta ripresa, e sul mio rapporto con il cementatami, inconsciamente ti trovi ad adottare tante piccole soluzioni che minimizzano l’impatto. Cominciare prima ad impiegare il sostegno delle braccia, addolcire il più possibile tutta la forma, essere fluidi nello scendere, e tanti piccole cose che forse non si registrano neanche. Domani mi ripropongo di seguire dalle 8 alle 9 Kuribayashi sensei, che mi ha impressionato moltissimo nelle sue dimostrazioni alla all japan Aikido e che sarà in Belgio ad inizio novembre, e poi il doppio turno serale di Miyamoto sensei, che so già sarà faticoso.
Alla prossima

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 1

Beh sono riuscito a mettere insieme quasi quattro ore di sonno, non male considerato il jet lag. Comunque alle 4 ero bello sveglio, e mi sono dedicato a ripassare un po’ di vocabolario, fare colazione etc, alle 5.30 smaniavo preoccupato di dover fare anche la registrazione etc Esco e manco 5 minuti ero al dojo, la stanza ad 800 metri è stata una bella scelta. La lezione del doshu è stata tosta come pensavo, tecniche molto base, mostrate 4 volte e poi pratica intensa con il proprio compagno. La tecnica del doshu è molto essenziale, sembra tutto semplice, ma replicare quel livello di controllo sul compagno così senza sforzo apparente sembra impossibile. Comunque un signore di una certa età, Tanisan, mi ha invitato a praticare insieme, lì non si cambia uke per tutta l’ora, ed ho accettato volentieri. Ammazza che preparazione fisica, si è fatto tutta la pratica a ritmo sostenuto come tori ed uke, un po’ essenziale nell’attacco, il che mi ha creato delle difficoltà nello squilibrarlo, il che a sua volta si è tradotto in molte correzioni su shihōnage ed ikkyō ura. Mi è parso ci fossero ampi margini per tirare atemi, ma mi sono astenuto dall’entrare in forme di competizione, meglio prendere le correzioni ed integrarle. Caldo e umidità terribili, da drenaggio completo delle energie, ma la sorpresa è stata il tatami, così duro che a fine giornata mi fa male poggiare le ginocchia per terra, non per una contusione da trauma ma proprio per il sommarsi di microimpatti su una superficie completamente rigida, ad un certo punto per necessità di spazio mi sono seduto in seiza sul parquet intorno al tatami e ho trovato la sensazione piacevole, almeno non c’erano le centinaia di cuciture che per sfregamento o per il rilievo ti consumano la pelle di mani e piedi. Comunque la lezione di Irie sensei è stata interessante, passava da un attacco all’altro e non riuscivo a capire dove volesse parare, e invece era tutto imposto sul lavoro di irimi kaiten, anche se ogni volta con piccole variazioni. L’unica sorpresa è che non me lo ricordavo così piccoletto, eppure a Bologna nel 2004 mi aveva impressionato quando mi aveva bloccato un ingresso di katatori menuchi con un solo braccio, che a spingere contro un muro si ottenevano più risultati. È venuto a fare un giro di tecnica ed ho avuto una bella sensazione di forza e rilassatezza allo stesso tempo. Fortunatamente il tatami si era svuotato un bel po’ e stranamente faceva più fresco che all’ora prima. Il mio compagno era un giapponese sui due metri, piuttosto tranquillo fino a quando abbiamo lavorato in hanmihandachi, lui in ginocchio ed io in piedi, era già in difficoltà così , poi Irie sensei l’ha preso di mira ed è entrato nel pallone, prima che facesse in tempo a staccarmi un braccio è finita la lezione. Poi una pausa con quasi due ore di sono. L’accoglienza del mio compagno di stanza, il buon Federico, e via in fuga per la lezione del primo pomeriggio. Toriumi sensei, ha lavorato su delle traiettorie ampie disegnate in modo circolare dalle braccia estese, una gestione del maai molto simile a quella che conosco del maestro Fujimoto. Mi sono sentito abbastanza di casa, vuoi anche per il lavoro con un compagno di allenamento francese piuttosto posato. Un rapido ritorno a casa per cambiare keikogi e per sapere se Federico si fosse ripreso e via alla doppia lezione di Yokota sensei. Prima di tutto il piacere di ritrovare Francesco Re (https://aikidokoryu.wordpress.com) che ha deciso di vivere per un po’ in Giappone per studiare Aikido e spada, abbiamo praticato insieme ad entrambe le lezioni. Poi molte tecniche, anche avanzate e un po’ inusuali tipo ushirowaza katatetori kubishime lo strangolamento da dietro, rapide eppure molto precise sul piano tecnico, con molti parallelismi alla spada. Le uniche note stonate, la confusione imperante in buona parte degli allievi su qualunque cosa fosse variazione dalla base, e si che Yokota sensei affondava il coltello nella piaga fornendoti un 3-4 variazioni a tecnica. Il fatto che il maestro per tamponare parlava tantissimo, e pure sempre agli stessi, che se non ho capito male sono pure i suoi allievi. Di buono di sponda è che ho capito molto di più grazie a queste correzioni anche se le ho dovute quasi rubare fermandomi nella pratica. È interessante che il maestro ci abbia lasciato lavorare un po’ liberi sulle tecniche offerteci nella lezione dividendo i praticanti in due gruppi, che si sono alternati sul tatami, con lo spazio in più non ho potuto evitare le proiezioni grandi che mi ero risparmiato fino ad allora con cura per via del tatami, molto meglio di quanto temessi. Peccato che il tatami mi abbia dato un colpo definitivo sul suwariwaza, è stata una vera sofferenza. L’impressione a fine giornata è che sul piano dell’affaticamento muscolare si possa andare avanti qualche altro giorno così, a patto però di riuscire a tamponare il dolore alle ginocchia. Sono rimasto molto sorpreso dalla totale assenza di uchideshi nelle 5 ore di pratica, e anche dalla qualità media dei praticanti, ma tornerò sul tema più avanti quando avrò un quadro più completo. Domani Waka sensei, il più giovane dei Ueshiba, il maestro Yasuno, che ho già incontrato a Monza e nonostante la sua enorme capacità non sono ancora riuscito a decifrare, il maestro Sakurai e poi finalmente uno dei miei preferiti il maestro Osawa.
A domani

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 0

Questo primo giorno (molto lungo) se ne è andato tutto nel viaggio e nel sistemarsi nella stanza vicino all’hombu dojo a Wakamatsucho di Shinjuku a Tokyo. Partito alle 15.15 da Roma di sabato 19, sono arrivato a Narita, l’aeroporto internazionale di Tokyo, alle 10.30 di domenica 20. Ho deciso di organizzare il viaggio in questo modo per cominciare la pratica da lunedì mattina presto alla prima lezione del doshu, Moriteru Ueshiba, nipote del fondatore dell’Aikido Morihei Ueshiba. L’intenzione con tutta la buona volontà è di praticare intensamente 5 ore al giorno, due ore la mattina presto in due turni, 6.30-7.30 e 8.00-9.00, e tre ore il pomeriggio, in un turno presto15.00-16.00 , e un po’ distaccati altri due turni gestiti di solito da un unico insegnante 17.30-18.30 e 19.00-20.00. Vorrei cercare di sfruttare al massimo la possibilità datami dalla decisione di venire i primi giorni da solo, cercando di riposare il più possibile tra i turni della lezione e dedicarmi per questi primi 9 giorni solo all’Aikido. Li trascorrerò tutti al dojo centrale, ad eccezione di domenica dove ho programmato di seguire un seminario poco lontano da Tokyo, a Saitama, del maestro Endo. Non so bene cosa attendermi, sono molto curioso di conoscere e praticare l’aikido di quei maestri che non ho ancora incrociato direttamente sul tatami, non avendone potuto frequentare i seminari in Europa, e di rinnovare la pratica con quelli che già conosco e stimo, primo tra tutti il maestro Osawa e il maestro Endo. Non ho un’immagine troppo idealizzata dell’Aikido del dojo centrale, perché all’ottima qualità innegabile degli insegnanti si oppone l’impossibilità di seguirne uno pienamente, vi dirò alla fine se questa impressione ne esce rafforzata o se invece l’esperienza mi porterà ad una conclusione differente. Sperando di vincere la resistenza dovuta al caldo e all’altissima umidità domani cominciamo con il Doshu. Purtroppo al cinquantennale dell’Aikikai ero impegnato nell’organizzazione e sono riuscito a ritagliarmi solo uno piccolo spazio per frequentare la lezione del maestro Kitaura, la cui pratica mi ha sempre colpito. Così domani salgo sul tatami per la prima volta come allievo di un Ueshiba. Poi seguirà la lezione di Irie sensei, che sostituisce Kanazawa sensei, che purtroppo è impegnato per questa settimana in un summer campo in Inghilterra, ma lo troverò lunedì prossimo per fortuna, perché ci tengo molto a seguirlo almeno una volta. Il pomeriggio Toriumi sensei, e uno dei miei favoriti in assoluto Yokota sensei, che ho già incontrato in un bel seminario organizzato dall’Aiko a Roma. Trovare la stanza presa in affitto è stata un’impresa, ma per fortuna la tecnologia sebbene con molta suspense, vedi batterie che si scaricano nel momento meno opportuno, ci è venuta in aiuto. È ora di lasciarvi che devo convincermi a riposare per accumulare sonno prima dell’alba. A domani!

Piccoli grandi stage!

Nell’Aikikai d’Italia come in molte altre associazioni ogni anno vengono organizzati moltissimi seminari, che si svolgono generalmente nei fine settimana. Tutti questi seminari sono condotti da grandi maestri giapponesi (o europei, vedi il caso di Tissier ed altri) che vengono in visita in Italia per seguire lo sviluppo degli allievi che li hanno come punto di riferimento e da maestri di lungo corso italiani, che con la loro lunga esperienza cercano di tenere vivo l’enorme bagaglio tecnico dell’Aikido. In buona parte di questi casi a giovarsi dell’insegnamento sono soprattutto i gradi più avanzati, perché i grandi maestri hanno già un linguaggio molto articolato che porta avanti un discorso cominciato molto tempo fa. Non è impossibile inserirsi e imparare qualcosa, ma credo che nel caso di un principiante assoluto, o di quel filone in particolare, quello che uno ne possa ricevere è un’immagine di qualcosa a cui aspirare o di un lavoro che ha seguito uno specifico percorso. Quale percorso formativo deve seguire allora un praticante di Aikido? Se avete letto già altri articoli sul blog conoscete l’importanza che do alla pratica assidua nel proprio dojo sotto l’occhio attento del proprio responsabile, oltre questo ci sono piccoli stage che secondo me hanno un enorme valore formativo. Li definisco piccoli stage perché sono tenuti da maestri che sono 3°-4°-5° dan, che non hanno nomi molto conosciuti ma che come il vostro insegnante sono a loro volta responsabili di corsi frequentati da persone principianti ed intermedie. Non girano il mondo dalla mattina alla sera, ma con premura costruiscono una pratica solida per i propri allievi, costruiscono il loro linguaggio didattico arricchendolo di parole ed esempi che hanno visto permettere di raggiungere più facilmente la comprensione di una tecnica o di un movimento. Un esempio di questo genere di stage sono quelli organizzati dall’Aikikai Milano, il dojo storico fondato e sviluppato dal maestro Fujimoto e portato avanti dai suoi allievi oggi, che sono rivolti uno ai gradi mu, 6° e 5° e l’altro al 5°-4°-3° kyu, e che di solito sono tenuti tra la fine di gennaio e marzo. Soprattutto il seminario rivolto ai gradi intermedi è un’ottimo stage che ha visto alternarsi insegnanti molto validi (Emilio Cardia, Fabrizio Bottacin, Andrea Re, Laura Benevelli, Cristina Sguinzo), impegnati nel costruire un percorso didattico intorno alle tecniche di quei gradi specifici. Il valore di questo stage è così alto che ogni anno con la scusa di accompagnare i miei allievi vi ho partecipato arricchendo non solo il mio bagaglio tecnico ma anche didattico, cercando di fare mie le soluzioni di insegnamento ogni volta proposte. Si tratta di persone che si sono formate seguendo lo stesso modello didattico, il maestro Fujimoto, ma che ovviamente hanno assorbito e fatto proprio il suo metodo secondo le proprie inclinazioni. Questo ha una grande importanza perché a volte un mio allievo che si è arenato su una mia spiegazione grazie ad un modo comunicativo differente riesce a superare l’impasse. Più o meno per lo stesso motivo questi “piccoli” stage sarebbero il modo migliore per avvicinarsi ad una pratica che magari si trova interessante ma che non si è ancora avuto modo di sperimentare pienamente perché differente da quella solita del proprio dojo. Vedo molte persone condividere sui social i video del maestro Fujimoto, pieni d ammirazione per la bellezza ed ampiezza dei suoi movimenti, e leggo come per molti di loro si è trattato di un evento non ripetibile, ed invece penso a come il maestro abbia elaborato una didattica ben precisa, tesa ad acquistare una ben precisa forma, e che questa didattica non è andata perduta ma viene tenacemente portata avanti dai suoi allievi, che si incontrano, confrontano e portano avanti quell’eredità. E questo credo non valga solo per il maestro Fujimoto ma sia un lavoro comune di tutti quei responsabili di dojo senza nomi altisonanti che si muovono sul territorio rispondendo prima di tutto ad un forte senso di responsabilità.
Detto questo, se in particolare siete interessati all’Aikido del maestro Fujimoto, e volete assaggiare il lavoro che egli ha proposto per anni, invece di sospirare davanti ai suoi video vi invito a ritrovarci sul tatami in occasione dello stage che ospiterò a Roma con gli stessi insegnanti che quest’anno hanno condotto il seminario per i 5°-4°-3° kyu a Milano, i maestri Bottacin e Benevelli.
Qui sotto la foto della locandina.
seminario Roma

Come ho cominciato la pratica dell’Aikido

Il brano che segue è tratto dalla vecchia pagina introduttiva del sito, e racconta come abbia cominciato la pratica dell’Aikido:

“La prima volta che sentii parlare di aikido ero ancora uno studente, tutto ciò che riuscii a mettere insieme fu una serie di notizie confuse: chi parlava di questa arte marziale come fosse una danza, chi ne esaltava la sua derivazione dalle tecniche di spada dei samurai, alla fine mosso dalla curiosità decisi di andare a vedere una lezione all’unico dojo di cui avevo reperito l’ubicazione, la vecchia sede del dojo centrale di via Eleniana, ebbi la sfortuna e l’ingenuità di non trovarvi alcuna lezione non essendomi informato preventivamente degli orari.

Per circa un anno la mia curiosità si sopì, finché una sera dell’estate del 1995 mi imbattei nell’ultimo frammento di una manifestazione di arti marziali che trasmettevano in tv, c’era un anziano giapponese, molto magro e dalle orecchie a sventola, vestito con degli ampi pantaloni grigi, che ripetutamente proiettava il suo attaccante con il minimo sforzo apparente, rimasi istantaneamente affascinato e mi ero appena deciso a praticare l’arte in questione quando scoprii grazie al commentatore che stavo osservando proprio l’aikido.

Iniziai a praticare ad ottobre, ma fu solo dopo un po’ che scoprii che la manifestazione che ero riuscito a seguire in tv era una ripresa della celebrazione del trentennale dell’Aikikai d’Italia, che cadeva nel 1994, trasmessa in ampia differita proprio per me, o almeno così mi piace pensare, e che l’elegante signore in questione era Kisshomaru Ueshiba, nientemeno che il figlio del fondatore dell’aikido e a quel tempo referente principale di tutti i praticanti nel mondo. Insomma avevo avuto la fortuna di osservare l’arte quando vive tramite una persona.

Kisshomaru Ueshiba è rimasto per me una figura speciale, ancor più negli anni quando ho scoperto che la diffusione e la portata dell’aikido nel mondo è stata principalmente merito suo, e sebbene possa sembrare strano, ancor più quando ho realizzato quanto difficile debba essere stato essere figlio di un personaggio ormai leggendario come O’Sensei, è davvero difficile crescere all’ombra di un personaggio così grande e trovare il proprio posto al sole senza clamore, evidentemente Kisshomaru Ueshiba riusciva a portare la sua eleganza ben al di fuori del tatami.

E’ naturale che oggi io dedichi questo sito e il dojo alla sua memoria. KisshomaruUeshibasensei, doumoarigatougozaimashita.”

Marco D’Amico